Dichiarazione fraudolenta per note spese “gonfiate”

Il decreto fiscale (D.L. 124/2019) ha inasprito le sanzioni penali in caso di dichiarazione fraudolenta.
Per “fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” cui fanno riferimento i delitti di dichiarazione fraudolenta e di emissione dei medesimi documenti si intendono non solo le fatture in senso tecnico, ma anche gli altri documenti aventi rilievo probatorio analogo. Inoltre, per l’integrazione dei delitti in esame occorre che fatture e/o documenti siano emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che indicano i corrispettivi o l’Iva in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi.
Si pensi ad esempio alle note spese che vengono prodotte dagli amministratori in occasione di trasferte, che vengono poi dedotti dalla società.
Nel caso in cui – a seguito di specifici riscontri – le spese chieste a rimborso (e dedotte) dovessero risultare non sostenute in tutto o in parte dall’interessato (nota spesa gonfiata), non vi è dubbio che si è in presenza di un documento avente rilevanza fiscale che riporta i corrispettivi in misura superiore a quella reale o addirittura relativo ad operazioni mai effettuate. In tal caso, la società che riporta (tra i costi, in dichiarazione dei redditi) tali documenti sta integrando la condotta illecita di dichiarazione fraudolenta.
La sanzione penale a seguito delle recenti modifiche introdotte prevede la reclusione da 4 a 8 anni se l’imponibile non veritiero dedotto supera i 100mila euro in un periodo di imposta o da 18 mesi a 6 anni se l’importo è inferiore.
Anche la corresponsione di somme al lavoratore in misura inferiore rispetto a quanto certificato può configurare il reato di dichiarazione fraudolenta.
È il caso in cui al lavoratore sia corrisposto uno stipendio effettivo di 1.000 euro mensili ma nella certificazione (che verrà poi contabilizzata e utilizzata ai fini della deduzione del costo) è indicato 1.500 euro.